6 giugno 2015 – INAUGURAZIONE DEL GIARDINO DEI GIUSTI

 

 

CHI SALVA UNA VITA, SALVA IL MONDO INTERO OFFIDANI NEL GIARDINO DEI GIUSTI
 
MERCOLINI MARTINA SINDACO del Consiglio Comunale Ragazzi
Buongiorno e benvenuti a questa manifestazione dal significativo titolo”Chi salva una vita, salva il mondo intero”, resa possibile dalla collaborazione tra il nostro Istituto Scolastico Comprensivo e l’Amministrazione Comunale. Siamo tutti qui riuniti per rendere omaggio alle famiglie offidane Talamonti Adelino e Talamonti Camillo insignite del titolo di Giusti tra le nazioni e alle famiglie Piersimoni e Ciabattoni che hanno contribuito alla salvezza della famiglia Ventura. Il nipote, che ha lo stesso nome del nonno, Beneamino appunto , ha accolto con grande gioia il nostro sentito invito e per onorare la memoria del nonno che durante le sue visite ad Offida era solito dire”Sono Ebreo, ma il mio cuore è offidano”, è volato da Israele ed è qui è presente insieme alla consorte. Questo evento rappresenta l’occasione per riflettere sul fatto che anche in condizioni di estrema difficoltà, l’essere umano può far ricorso alle sue qualità più alte, come la solidarietà e su quanto sia importante recuperare la memoria storica non solo per ricordare le tragedie del secolo scorso,ma anche  per trovare in esse i segni di speranza e di umanità e imparare che si può costruire un futuro migliore, basato sui valori della pace, della libertà, della solidarietà e sulla valorizzazione delle diversità degli esseri umani.
 
LA SHOAH – 5^TP
La Shoah, cioè l’olocausto, il genocidio, lo sterminio di circa 6 milioni di Ebrei da parte dei Tedeschi avvenne durante la seconda guerra mondiale. Gli Ebrei erano vissuti per millenni come una minoranza appena tollerata, non di rado perseguitata e cacciata e sempre relegata in ghetti.La Germania varò nel 1935 a Norimberga una legge antisemita che sanciva l’emarginazione, Adolf Hitler , il fondatore del nazismo tedesco, decise di allontanare gli stranieri e perseguitare gli Ebrei, togliendo loro tutto ciò che possedevano e richiudendo nei lager (campi di concentramento) uomini, donne, vecchi e bambini.
Tre anni dopo anche l’Italia approvò la legge antisemita,separando gli Ebrei dal resto del Paese. In ogni regione italiana c’era almeno un campo, ma  quelli italiani non erano campi di sterminio, ad eccezione di quello di Risiera di Sabba;nelle Marche, il campo di Servigliano, era un campo di prigionia,il più importante del Piceno.
 
I GIUSTI TRA LE NAZIONI  – VERONICA del Consiglio Comunale Ragazzi
Dopo la Seconda guerra mondiale, il termine Giusti tra le nazioni  è stato utilizzato per indicare i non-Ebrei che hanno agito in modo eroico a rischio della propria vita per salvare anche di un solo Ebreo dal genocidio.
Chi viene riconosciuto Giusto tra le nazioni viene insignito di una speciale medaglia con inciso il suo nome, riceve un certificato d’onore ed il privilegio di vedere il proprio nome aggiunto agli altri presenti nel Giardino dei Giusti presso lo Yad Vashem, l’Istituto per la memoria della Shoah, di Gerusalemme. Ad ogni Giusto tra le nazioni viene dedicata la piantumazione di un albero, poiché tale pratica nella tradizione ebraica indica il desiderio di ricordo eterno per una persona cara.
 
SHULZ NINA del Consiglio Comunale Ragazzi
Sono oltre 20.000 i Giusti nel mondo e più di 500 gli Italiani che hanno ricevuto sinora tale riconoscimento. Dei 32.300 Ebrei ,che vivevano nel nostro paese durante l’occupazione tedesca, solo 8.000 vennero arrestati, mentre tutti gli altri si salvarono, grazie alla solidarietà della popolazione locale nei confronti dei perseguitati. Tra coloro che si sono distinti per lo straordinario coraggio dimostrato nella difesa dei valori umani abbiamo anche degli Offidani che, pur consapevoli del pericolo cui si esponevano, salvarono la vita a Ebrei italiani e stranieri.
 
Queste le testimonianze che abbiamo reperito, vogliate scusarci per eventuali dimenticanze o imprecisioni.
 
LETTURA ALBERO GENEALOGICO
Prima di iniziare la lettura delle testimonianze vi illustriamo l’albero genealogico delle famiglie menzionate, per rendere più chiari i rapporti di parentela che intercorrono tra le persone di cui si parlerà.
 
GABRIELE del Consiglio Comunale Ragazzi
La famiglia ebraica Ventura, di origine turca, viveva a Milano dove aveva un’attività commerciale, durante la guerra giunse in Offida e dopo poco tempo il padre Beniamino venne internato nel campo di prigionia di Servigliano. La moglie Sara ed i figli Marco ed Ester abitavano nella zona dei Cappuccini, nell’edificio dove oggi c’è l’attività dei barbieri Luca e Toni. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, Beniamino riuscì a fuggire dal campo di Servigliano e raggiunse la famiglia in Offida, vivendo da fuggiasco e da ricercato.
 
DANIELE classe 5^A Testimonianza della signora Anna Corradini, moglie di Fides Talamonti, con cui abbiamo avuto un incontro a scuola
Marco Ventura , il figlio di Beniamino, frequentava la casa di Adelino Talamonti, la moglie, Giuseppina, lo invitava a mangiare con i suoi figli, diceva”Dove mangiano in 6  c’è anche posto per  7”A casa dei Talamonti  il cibo non mancava, perché Adelino faceva il mugnaio.In tempo di guerra il pane era razionato e la farina data veniva controllata, le razioni erano spesso insufficienti, soprattutto per i ragazzi in crescita, il mugnaio riusciva, nonostante i controlli, a trovare il modo per mettere da parte la farina per la pasta e il pane per la famiglia ebrea, rischiando la propria vita, se fosse stato scoperto. Le macine allora erano di pietra, la farina finiva in un grande cassone di legno, il farinatore, il mugnaio, prima del controllo, non lo puliva bene, perciò rimaneva sempre un po’ di farina attaccata, finito il controllo Adelino, spolverava con una scopetta il farinatore e riusciva a rimediare un sacchetto per Marco, che poi passava dalla moglie del mugnaio, detta Peppina, che aggiungeva delle uova o altro cibo come ad esempio carne di maiale, perché allora i maiali erano allevati dalle famiglie, la famiglia ebrea la mangiava nonostante la religione lo vietasse, perché quando c’è la fame non si guarda tanto per il sottile. 
 
GIUSEPPE classe 5^A
Il mulino di Adelino Talamonti era situato dove oggi c’è la casa di Liliana Almonti, la moglie di Franco, uno dei figli di Adelino, per non farsi scoprire Marco passava dietro al mulino e camminando per campi raggiungeva la casa dove abitava con la mamma e la sorella Ester. Marco frequentava l’officina dei Cappuccini, dei signori Rossi Italo e Mascitti Marco; essa si trovava dove oggi c’è l’abitazione del maestro Damiani Giannino, e aveva imparato un po’ il mestiere di meccanico. Marco strinse amicizia con tanti ragazzi coetanei di Offida, con i quali spesso giocava a calcio nel campetto sotto il convento dei frati. Anche la sorella Ester legò con diverse coetanee.
 
LORENZO classe 5^A Testimonianza della signora Vincenza Ciabattoni,parente di Liliana Almonti, moglie di Franco Talamonti e della signora Anna Ciabattoni
La mia bisnonna materna, Vincenza Ciabattoni, da ragazza, all’età di 15 anni circa, frequentava il Bergalucci, l’istituto delle suore, per imparare a ricamare a mano, un servizio che era a pagamento, insieme alle sue carissime amiche Emma Talamonti che divenne poi suor Fernanda e Anna Ciabattoni.Emma andava a prendere Ester, la bambina ebrea, che abitava a borgo Cappuccini e la portava con sé al Bergalucci, dove le suore, le ragazze e la mia bisnonna si prendevano cura di lei, la accudivano, le davano da mangiare e ci giocavano.
 
EDOARDO del Consiglio Comunale Ragazzi Testimonianza di Ugo Talamonti, figlio di Adelino, delle signore Anna Ciabattoni(”lu ciaff”) e Ciancia Giuseppina
Presso il Bergalucci, c’era la scuola elementare gestita dalle suore, per nascondere la sua origine Ester risultava iscritta e frequentava regolarmente, anche se non conosceva bene l’italiano, le suore fingevano di non saperlo.
La signora Giuseppina Ciancia, moglie di Di Ruscio Antonio, che abitava vicino alla famiglia Ventura e frequentava Ester, ci ha raccontato che questa si ammalò all’intestino e doveva essere curata, ma in tempo di guerra trovare le medicine non era semplice, allora la mamma di Anna Ciabattoni la aiutò a guarire dandole un’alimentazione adeguata; infatti la famiglia Ventura aveva grandi difficoltà economiche, tanto che la signora Sara utilizzava anche le bucce dei piselli, cuocendole nel latte.
 
CLAUDIA classe 5^A
Testimonianza della signora Sandra Talamonti, figlia di Nando Talamonti e nipote di Camillo Talamonti e zia del padre di Angelica Camilli
Testimonianza di mio padre, Giannino Damiani, nipote di Santina Damiani, moglie di Camillo Talamonti
Testimonianza della signora Maria Pellei, moglie di Pietro Talamonti, figlio di Camillo Talamonti e zia del padre di Viola Pellei e di Ugo Talamonti, figlio di Pietro Talamonti
Testimonianza della signora Piersimoni Lucia figlia di Piersimoni Antonio(Miò)
 
ANGELICA classe 5^A
La zia di mio padre mi ha raccontato la storia di suo nonno che ha salvato un ebreo di nome Ventura. In Offida, tra gli sfollati, giunse una famiglia di origine ebraica, il padre si chiamava Beniamino Ventura, che venne poi preso e internato al campo di prigionia di Servigliano, la moglie e i figli, Marco ed Ester si trovavano rifugiati in Offida, aiutati dalle famiglie Talamonti. Beniamino riuscì a fuggire e raggiunse la famiglia in Offida vivendo da ricercato;bisognava trovargli un rifugio. Al cimitero, vicino alla chiesa c’era l’abitazione del custode, Camillo Talamonti. La sorella di Marco, Ester, che frequentava la scuola al Bergalucci, era diventata amica di Emma, la figlia di Camillo, poi diventata Suor Fernanda. Emma convinse il padre a nascondere l’Ebreo in una tomba del cimitero.
 
CHIARA classe 5^A
Pietro e Nando (Ferdinando) aiutarono il padre a rendere “vivibile” un loculo nuovo, posto in modo da poter essere raggiunto facilmente ; un pagliericcio come materasso, coperte, acqua e viveri in un recipiente di metallo, il tutto sistemato in modo da non poter essere notato dall’esterno.Dopo qualche giorno la sistemazione nel loculo si rivelò scomodissima , così si decise di chiedere aiuto alla famiglia di Piersimoni Antonio (Mijò), la cui abitazione, situata sul colle, era poco distante dal cimitero e dall’abitazione di Camillo.Fu chiesto loro di dare rifugio a Beniamino solo per la notte, ricavando per lui un giaciglio nel pagliaio. Beniamino in pochi mesi, da semplice confinato ebreo, era divenuto recluso e da recluso fuggiasco. Se fosse stato scoperto sarebbe stato trucidato sul posto insieme alla sua famiglia che ne aveva coperto la fuga. In quel periodo, infatti, spiccavano in bella vista, sui muri, manifesti che invitavano alla denuncia di chi era ebreo, antifascista o antitedesco, minacciando di morte anche chi li proteggeva.
La signora Lucia Piersimoni della famiglia Piersimoni detta Miò nonostante fosse ancora piccola, aveva circa 9 anni, ricorda che Beniamino Ventura frequentava la sua casa, situata vicino al cimitero e che in caso di bisogno veniva appunto nascosto anche sotto i covoni di paglia nel loro terreno. A confermare questa notizia è anche la testimonianza della signora Maria Pellei e di suo figlio Ugo, che ci hanno segnalato l’esistenza di un’altra famiglia, i Piersimoni appunto, che ha contribuito a proteggere Beniamino.
 
VIOLA classe 5^A
Tutto andò bene per dieci-dodici giorni, quando a seguito di una spiata un mattino alle 9,30 nell’abitazione di Camillo giunsero all’improvviso i carabinieri; moschetto spianato, in pochi istanti ispezionarono la casa, le uscite, il pollaio, i garage, l’ adiacente chiesa. In casa trovarono Camillo, Santina e Emma.I militari contestarono a Camillo di proteggere e nascondere il fuggiasco ebreo Ventura Beniamino,i tre negarono.Sul tavolo della cucina erano rimasti i resti di una frugale colazione, un mucchietto di bucce di fave e formaggio, tre bicchieri, la bottiglia dell’acqua, del vino, una bottiglia di mistrà e tre bicchierini da liquore.
-Chi ha bevuto il mistrà?- chiese il maresciallo.
-Noi!- Rispose Emma, anticipando il padre.
-Perché, lei signorina beve superalcolici anche a colazione?- Replicò lo zelante maresciallo.
-Ogni tanto, quando ne ho voglia, ma solo in modica quantità.- Rispose Emma.
-Lei signorina, brava e bella com’è, può fare l’attrice, avrebbe successo. -Ribatté il maresciallo visibilmente irritato per il mancato successo dell’operazione.
-Lei Camillo, oggi pomeriggio venga in caserma.- Ordinò il maresciallo.
Il terzo bicchierino in effetti era di Beniamino, che era lì a colazione; quando lui era in casa qualcuno era sempre di “vedetta”, seduto dietro alla finestra della cucina, dalla quale si scorgeva un tratto di strada e si vedeva chi si avvicinava all’abitazione, per dare se necessario, a Beniamino il tempo utile per fuggire.Le entrate che invece permettevano l’entrata in casa dal camposanto, venivano chiuse dall’interno con il catenaccio. Così, alla vista dei carabinieri, Beniamino si dileguò correndo lungo un percorso prestabilito, già provato. Usciti dalla casa di Camillo i carabinieri, evidentemente bene informati, si recarono nell’abitazione di Antonio Piersimoni, spaventando anche lì tutta la famiglia. La loro attenzione cadde subito sul pagliaio, ricordano Lucia e Lella allora bambine, figlie di Antonio. Uno di loro, preso un forcone, infilzò con forza e in più punti il pagliaio, poi ispezionarono la stalla e la casa. Nulla. Il maresciallo se ne andò.
Nel tardo pomeriggio di quel giorno Camillo era ancora nella caserma dei carabinieri e ribadiva con forza di non proteggere nessuno, l’interrogatorio durò per ore, fu intimidito e minacciato, dato che la “soffiata” era stata precisa e dettagliata ,lo avrebbero arrestato e consegnato ai nazisti, con tutte le conseguenze che questo avrebbe comportato.
D’un tratto, s’aprì la porta e lo zelante maresciallo fu chiamato fuori dalla stanza e l’interrogatorio si interruppe. Trascorsi alcuni minuti, rientrò in stanza e comunicò a Camillo che poteva tornare a casa.Era intervenuta a suo favore la Signora Maria Brandimarte, segretario della locale sezione del fascio femminile, la quale garantì personalmente sulla serietà di Camillo.
Un giorno del mese di maggio Camillo, sua moglie Santina, Emma e Beneamino erano tutti seduti a tavola a consumare la colazione con fave fresche e formaggio, quando furono avvisati che stavano arrivando i Tedeschi, Beniamino scappò, gli altri tolsero tutto dal tavolo, ma dimenticarono i bicchierini da liquore, i Tedeschi chiesero come mai ci fossero tre bicchieri, prontamente Emma affermò che il bicchiere era suo, ma i fascisti non le credettero e il maresciallo le disse che da grande avrebbe potuto fare l’attrice. I fascisti chiamarono Camillo in caserma per interrogarlo, per fortuna Camillo conosceva bene ed era amico della segretaria del fascio che si chiamava Maria, a cui Camillo curava la tomba della madre. Maria testimoniò a favore di Camillo,dicendo che era una bravissima persona e dietro la sua insistenza il custode del cimitero venne rilasciato; dopo pochi giorni ci fu la ritirata dei Tedeschi e tutto finì bene.
 
CLAUDIA classe 5^A Testimonianza di Ugo Talamonti, figlio di Adelino Talamonti
La famiglia Ventura è rimasta ad Offida fino al 1948, poi è tornata in Israele;dopo circa 20 anni, nel 1968, Marco aveva bisogno di contattare la Piaggio per avere dei pezzi di ricambio per la sua officina, quando telefonò ad Offida non credevano fosse lui, in quanto non avendo più avuto alcuna notizia, credevano fosse morto. Fides, il fratello di Ugo, per accertarsi che fosse proprio lui gli chiese”Quando andavo a giocare le partite di pallone con la squadra, tu cosa facevi? “Io portavo le valigie con le magliette dei giocatori” rispose prontamente Marco e così Fides fu sicuro che si trattava proprio di lui. Infatti Marco non poteva permettersi di pagare il biglietto d’ingresso al campo sportivo e quindi lo facevano entrare con la squadra.
 
LEANDRO  del Consiglio Comunale Ragazzi
Ugo ricorda un altro Ebreo salvato dalla sua famiglia, Borghi Arturo, che faceva il ragioniere nel mulino di suo padre, per non farsi scoprire gli consigliarono di fingersi muto e recitava così bene la sua parte che fu chiamato lu mut d vllì, vllì era il soprannome della famiglia di Adelino; spesso questo ragazzo andava a messa con loro, il parroco sapeva che era Ebreo, ma per non dare nell’occhio fingeva di dargli la particola, cioè l’ostia della comunione. Finita la guerra, l’Ebreo si è trasferito a Firenze, da dove ha inviato delle cartoline per ringraziare il padre di Ugo Talamonti.
 
BIANCA del Consiglio Comunale Ragazzi
Ora descriviamo la medaglia e il diploma d’onore intitolati alle persone che con il loro gesto di coraggio e umanità hanno salvato la famiglia ebrea Ventura. Vi descrivo la medaglia: su una facciata vediamo il museo per la memoria della Shoah dove sono raccolti tutti i documenti relativi ai deportati nei campi di concentramento e sotto si vede l’albero piantato nel Giardino dei Giusti con la scritta in francese”Chi salva una vita, salva il mondo intero”, in quanto salvando quella vita, si permette alle generazioni successive di avere un futuro. Sull’altra facciata è rappresentato il mondo imbrigliato in una rete, sopra ci sono delle mani che sciolgono la rete, liberando il mondo dall’intolleranza e dalla discriminazione.
Il diploma d’onore riporta una scritta in francese e in ebraico. Invito il signor Beneamino Ventura per la lettura in ebraico del diploma.
 
REBEKA del Consiglio Comunale Ragazzi
Vi leggerò il testo del diploma d’onore, tradotto dal francese“Il presente diploma attesta che nella seduta del 19 Novembre 1979 la Commissione per le onoranze ai Giusti delle Nazioni, fondata dall’Istituto Commemorativo dei Martiri e degli Eroi Yad Vashem, secondo le testimonianze da essa raccolte, ha reso omaggio a coloro che, a rischio della loro vita, hanno salvato degli Ebrei perseguitati nel periodo dell’Olocausto in Europa, ha conferito loro la Medaglia dei Giusti tra le Nazioni e li ha autorizzati a piantare un albero a nome loro nel Viale dei Giusti sul Monte del Ricordo a Gerusalemme”.
Redatto a Gerusalemme il 2 Maggio 1980
 
Lettura in ebraico del signor Beneamino Ventura
 
GAIA del Consiglio Comunale Ragazzi
“Io combatto la tua idea, che è diversa dalla mia,ma sono pronto a battermi fino al prezzo della mia vita perché tu la tua idea possa esprimerla liberamente”.Voltaire
La storia che abbiamo raccontato è molto commovente e significativa perché ci insegna che l’amicizia può vincere la paura e può esistere anche se si hanno culture e religioni differenti o se si è lontani. Queste persone ci hanno lasciato un esempio di solidarietà e di rispetto reciproco. Quando l’amicizia è vera, si è disposti anche a correre dei rischi pur di salvare l’amico. Vogliamo concludere con questa affermazione ribadita più volte nella testimonianza delle due famiglie Talamonti “l’amicizia è una cosa preziosa e rara”.
 
MARIA VITTORIA del Consiglio Comunale Ragazzi
Invitiamo il Signor Beneamino Ventura e i familiari delle famiglie offidane che hanno contribuito alla salvezza della famiglia ebrea Ventura a dire due parole, se vogliono;poi lasciamo la parola alle autorità.
 
Intervento di Beneamino Ventura e delle famiglie offidane
 
Discorso delle autorità e riconoscimento da parte dell’amministrazione comunale alla famiglia di Beneamino Ventura
 
ANNA classe 5^A
Vogliamo ringraziare il signor Beneamino Ventura che ci ha onorato della sua presenza, le famiglie che ci hanno gentilmente dato le loro testimonianze, grazie alla loro disponibilità abbiamo potuto raccogliere tante informazioni e organizzare questa manifestazione, siamo pronti ad ampliare la documentazione in nostro possesso, se altre persone avessero altre testimonianze da fornire sono pregate di contattare i nostri insegnanti.
Ringraziamo inoltre tutti quelli che hanno collaborato con noi, l’amministrazione comunale, il tecnico Mauro Filippoli, il presidente di Energie, Roberto Senesi, il fotografo Giuseppe Laudadio, le insegnanti di lingua francese e inglese Tanzi Elda e Monini Doranna e la signora………… mamma di Viola Pellei per le traduzioni, le autorità intervenute e il pubblico presente.
 
MERCOLINI MARTINA SINDACO del Consiglio Comunale Ragazzi
Augurandoci che le esperienze raccontate possano diventare patrimonio di tutta la cittadinanza e motivo d’orgoglio per il nostro paese,inauguriamo “Il Giardino dei Giusti di Offida” con la piantumazione di un albero per ricordare i giusti della nostra cittadina, in modo che restino nella memoria di tutti gli Offidani ma anche dei numerosi turisti che ogni anno visitano la nostra bellissima cittadina.

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Quello che è giusto fare, deve essere fatto
Voglio in primo luogo ringraziare l’Amministrazione Comunale di Offida che ogni anno il 27 gennaio, in occasione del giorno della memoria, incoraggia e promuove iniziative volte al ricordo e alla riflessione su quanto avvenne prima e durante la seconda guerra mondiale, agli ebrei di tutta Europa.
Quest’anno l’Amm.ne Comunale in collaborazione con i docenti e gli studenti della scuola primaria e secondaria, hanno posto l’attenzione sulla vicenda che coinvolse una famiglia ebrea in soggiorno obbligato a Offida, proveniente da Torino e tre famiglie Offidane.
Ringrazio inoltre l’Amministrazione nella persona della Vice Sindaco Dottoressa Bosano Isabella, che
ha voluto onorare la memoria delle persone e dei loro familiari che furono protagonisti in quella vicenda, tramite un’attestazione e una medaglia con incisi i loro nomi, conferita ai diretti discendenti, che così motiva: 
– per l’altruismo e la generosità mostrata, nell’aver salvato vite umane e per essersi opposti con         responsabilità individuale ai crimini contro l’umanità.
In questo scritto, oltre alla descrizione dei fatti, cercherò di tratteggiare i personaggi di questa vicenda
e forse presuntuosamente, proprio perché miei parenti, ascendenti e collaterali, per averli conosciuti personalmente, per aver sentito parlare di loro in famiglia, cercherò di descriverne i più evidenti aspetti caratteriali, il loro modo d’essere e la loro condotta. Segnerò anche aspetti non direttamente legati alla vicenda dei Ventura ed in particolare mi soffermerò, sulla singolare quanto originale figura di Camillo Talamonti; delle sue attitudini, dei suoi interessi delle sue passioni; per far conoscere meglio l’uomo. –
 
Beniamino Ventura fuggì dal campo di prigionia di Servigliano la notte del 3 maggio 1944, quando il campo fu sorvolato e bombardato con “spezzoni” -bombe rumorose ma non letali- da un aereo sconosciuto (inglese) che aveva il preciso compito di creare scompiglio e confusione per favorire proprio la fuga degli ebrei, circa 150 persone (segretamente avvisati dell’imminente incursione aerea).
Infatti il giorno dopo, come previsto, nel campo arrivarono dei camion con il compito di prelevare gli ebrei per deportarli nei campi di sterminio in Germania; o forse avevano il compito già pianificato, di trucidarli poco tempo dopo averli prelevati dal campo. Fu ciò che accadde ai 30 ebrei che i tedeschi riuscirono a catturare dopo la fuga della notte precedente. Testimoni raccontarono che essi furono trattati e caricati sui camion in modo “inumano” e portati verso nord; tra loro la famiglia dell’ebreo Maurizio Hauser, con la moglie e quattro figli, si erano nascosti in paese, con i figli piccoli la fuga in aperta campagna non sarebbe riuscita, né conoscevano la morfologia della zona.
Non furono i nazisti a trovarli ma fu un traditore a indicarne il nascondiglio. Di loro non si ebbero più notizie, né degli altri che salirono su quei camion (fonte:- Croce Rossa Svizzera).
Nonostante le comunicazioni all’epoca fossero scarse, a Offida, la notizia della fuga di massa degli ebrei dal campo di Servigliano era già nota da giorni. La famiglia Ventura era in trepidazione per le sorti del congiunto.
Beniamino giunse a Offida solo alcuni giorni dopo la fuga; fossi e valli li aveva percorsi solo di notte per evitare di essere avvistato e denunciato. Di notte si avvicinò al Cimitero, poco distante dalla sua abitazione. Pensò di non recarsi subito dai familiari, poiché temeva di essere visto e anche perché sospettava – e non a torto – che la sua casa fosse in qualche modo sorvegliata; al momento la sua unica intenzione era quella far sapere alla  famiglia che era arrivato e che stava bene.
Così si diresse con circospezione verso l’abitazione di Camillo Talamonti, custode del cimitero.
Beniamino pensava che quella di Camillo fosse una famiglia amica, poiché fin dai primi giorni del
 loro arrivo ad Offida, da Torino, – non per vacanze, ma costretti al soggiorno coatto perché ebrei
(v.LL. razziali settembre 1938)-, i suoi figli Ester e Marco, socievoli ed educati, avevano fatto amicizia
con i figli di Camillo(1898) e Santa Damiani(1900):- Emma(1925), Pietro(1929) e Ferdinando(1932), anch’essi cordiali ed espansivi. Abitavano a poca distanza e avevano interessi e curiosità comuni.
Emma, vivace e brillante, sempre piena di entusiasmo nelle cose che faceva, aveva coinvolto Ester a frequentare il vicino Istituto Bergalucci, dove le Suore Mantellate insegnavano il ricamo alle ragazze del posto e intrattenevano queste in vari corsi e attività domestiche.
Pietro – padre di chi scrive – allora quindicenne, era già “a bottega” ad imparare il mestiere di meccanico in una officina, la passione per la meccanica manifestata fin da piccolo, diverrà la sua professione e pochi anni dopo la bufera della guerra, aprirà un’officina in proprio. Nacque fra Marco e Pietro una bella amicizia, alimentata anche dalla comune passione per la meccanica. Infatti anche Marco, dopo la guerra, stabilitosi con la famiglia in Israele a Gerusalemme, sarà meccanico di professione, ma nel settore delle due ruote. Ferdinando all’epoca dodicenne era ancora scolaro ma successivamente seguendo le orme del fratello maggiore, diverrà anche lui meccanico e insieme gestiranno con successo l’officina.
Marco si inserì bene nel gruppo di coetanei di Borgo Cappuccini, fra i quali vi era anche Fides Talamonti, figlio di Adelino.
Adelino Talamonti (V-llì) – stesso cognome di Camillo (Carò-s) ma nessuna parentela, ebbe insieme alla sua famiglia, un ruolo importante nella vicenda. Padre di sei figli, pur non avendo legami di sangue con Camillo, credo avesse in comune con lui spiccate doti umane, non facilmente rilevabili in quell’insopportabile ed esasperato contesto storico e sociale. Solidarietà, altruismo, generosità, fratellanza; in sintesi:- bontà.
Adelino infatti essendo titolare di un mulino, quando possibile, reperiva piccole quantità di farina e residui della molitura quotidiana che puntualmente, di nascosto e tramite i figli, mandava con altri viveri alla famiglia Ventura. Altri viveri, arrivavano a quella famiglia da quella di Camillo, tramite mia zia Emma e mio padre Pietro. Allo zio Nando (Ferdinando) allora dodicenne, pur essendo a conoscenza della situazione, era ancora considerato troppo piccolo e non gli venivano assegnati compiti così delicati.
La casa del custode e la chiesa, erano e sono poste (ora in rovina e inaccessibili) a ridosso del muro di cinta del cimitero ed era facilmente raggiungibile, sia passando all’interno del camposanto, scavalcando il cancello d’ingresso (lato est), sia che si giungesse dall’esterno passando dalla strada sul colle (lato ovest) o dalle circostanti campagne.
Beniamino dovette però tornare subito indietro, perché si accorse che sul lato sud all’esterno del muro di cinta, in prossimità dell’entrata, c’era un presidio di militari tedeschi, posti a guardia di un notevole cumulo di materiali, di cui non capì la natura.
I tedeschi infatti, forse prevedendo una imminente ritirata, da tempo, avevano ammassato e mimetizzato
sotto la rigogliosa vegetazione, una quantità enorme di materiale bellico e molti fusti di carburante;
a protezione del materiale avevano allestito un servizio di guardia permanente.
Beniamino altro non poté fare che affrontare ancora pericoli e tornare direttamente a casa; ci riuscì e riabbraccio i familiari. Fu nascosto frettolosamente, ma il nascondiglio momentaneo era insicuro, posto troppo vicino ad altre case e troppi occhi indiscreti. C’era la necessità immediata di trovare per lui un nascondiglio più sicuro.
Il giorno seguente Ester confidò a Emma la situazione. Tornata a casa Emma, raccontò la cosa in famiglia; ne nacque una breve discussione, Camillo –come era suo stile- non parlò, se non con monosillabi, per favorire le opinioni di moglie e figli, poi d’un tratto disse:
– <<Lo nascondiamo nel cimitero, so io dove>>.
Camillo conscio del pericolo cui esponeva la sua famiglia e se stesso, non si sottrasse a quel dovere morale che Dio gli aveva assegnato. Se non l’avesse fatto e se a Beniamino fosse capitata la peggior sorte, non se lo sarebbe perdonato. Rimorsi e sensi di colpa lo avrebbero perseguitato per il resto della sua vita. Quello che è giusto fare, deve essere fatto, avrà pensato.
Pietro e Nando (Ferdinando) aiutarono il padre a rendere “vivibile” un loculo (nuovo, mai usato), di quelli cosiddetti a “colombaio”, di una tomba privata poco frequentata (evidentemente all’epoca i componenti della famiglia erano giovani e tutti in perfetta forma). Un loculo asciutto, posto in modo da poter essere raggiunto, in caso di necessità, con pochi agili movimenti; un pagliericcio come materasso, coperte, acqua e viveri in un recipiente di metallo, il tutto sistemato in modo da non poter essere notato dall’esterno. Il giorno stesso, nottetempo e sotto il naso delle guardie naziste, fu nascosto lì.
Dopo qualche giorno la sistemazione nel loculo si rivelò scomodissima per l’occupante, così si decise di chiedere aiuto alla fidatissima famiglia Piersimoni (Mijò), gente da sempre amica, seria e riservata. L’abitazione di Antonio Piersimoni era una casa rurale situata sul colle, poco distante dal cimitero e dall’abitazione di Camillo.
Fu chiesto loro di dare rifugio a Beniamino solo per la notte, ricavando per lui un giaciglio nel pagliaio. Così fu, di giorno nel cimitero e in casa di mio nonno (da dove comunque, in caso di necessità poteva fuggire con facilità da più uscite e raggiungere il nascondiglio) e di notte (accompagnato con tutte le cautele),  nel pagliaio dei Piersimoni.
Beniamino in pochi mesi, da semplice confinato ebreo, era divenuto recluso e da recluso fuggiasco; in negativo, una carriera fulminea. Se fosse stato scoperto sarebbe stato trucidato sul posto insieme alla sua
famiglia che ne aveva coperto la fuga. In quel periodo infatti spiccavano in bella vista sui muri, manifesti che esplicitamente invitavano alla denuncia di chi era ebreo, antifascista o antitedesco, minacciando di morte anche chi li proteggeva, ne favorisse la clandestinità e l’attività di contrasto al regime.
La delazione era lecita e incoraggiata dai nazifascisti, l’anonimato garantito. Se riscontrato, il tradimento  veniva ben pagato, chi non aveva principi morali saldi, lo fece, senza scrupoli, anche o solo per placare la fame.
Questa si, -la delazione- vera miseria umana, favorita e caldeggiata da tutte le dittature e i regimi totalitari.
Tutto andò bene per deci-dodici  giorni, quando a seguito di una spiata un mattino alle 9,30 nell’abitazione giunsero all’improvviso i carabinieri; moschetto spianato, in pochi istanti ispezionarono la casa, le uscite, il pollaio, i garage, la adiacente chiesa. In casa trovarono Camillo, Santina e Emma.
I militari, in quel periodo completamente asserviti, dopo l’8/9/’43, alle volontà dell’occupante nazista, contestarono a Camillo di proteggere e nascondere il fuggiasco ebreo Ventura Beniamino.
 Lo spavento fu enorme in quei momenti concitati. Ovviamente i tre negarono tutto quello che veniva loro contestato.
Sul tavolo della cucina erano rimasti i resti di una frugale colazione, un mucchietto di bucce di fave e formaggio, tre bicchieri, la bottiglia dell’acqua, del vino, una bottiglia di mistrà e tre bicchierini da liquore.
Chi ha bevuto il mistrà? Chiese il maresciallo. Noi! Rispose Emma, che con tempi da teatro, anticipo il padre.
Perché, lei signorina beve superalcolici anche a colazione? Replicò lo zelante maresciallo.
Ogni tanto, quando ne ho voglia, ma solo in modica quantità. Rispose Emma.
Lei signorina, brava e bella com’è, può fare l’attrice, avrebbe successo. Ribatté il maresciallo visibilmente irritato per il mancato successo dell’operazione.
-In quella ultima battuta, aveva ragione il maresciallo, perché Emma nel 1946, appena divenuta maggiorenne, nonostante le tante doti naturali, i corteggiatori, la contrarietà di tutti, prese i voti e si fece suora. I genitori l’avevano sempre osteggiata in quella sua scelta, negandogli il permesso fino al compimento della maggiore età (21 anni), sperando in un ripensamento. Un suo ammiratore, la accompagnò fino alla corriera che la portava via.
Pentimenti, dubbi, incertezze sulla sua vocazione non l’ebbe mai, con l’entusiasmo e il sorriso di sempre, dedicò la vita a Dio e al prossimo.-
Lei Camillo, oggi pomeriggio venga in caserma. Ordinò il maresciallo.
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Si, il terzo bicchierino era di Beniamino, che era lì a colazione; quando lui era in casa qualcuno era sempre di “vedetta” seduto dietro alla finestra della cucina, dalla quale si scorgeva un tratto di strada e si vedeva chi si avvicinava all’abitazione, per dare se necessario, a Beniamino il tempo utile per fuggire.
Le entrate che invece permettevano l’entrata in casa dal camposanto, venivano chiuse dall’interno con il catenaccio. Così, alla vista dei carabinieri, Beniamino si dileguò correndo lungo un percorso prestabilito, già provato. 
Usciti dalla casa di Camillo i carabinieri, evidentemente bene informati, si recarono nell’abitazione di Antonio Piersimoni, spaventando anche lì tutta la famiglia. La loro attenzione cadde subito sul pagliaio, ricordano Lucia e Lella allora bambine, figlie di Antonio. Uno di loro, preso un forcone, infilzò con forza e in più punti il pagliaio, poi ispezionarono la stalla e la casa. Nulla. Il maresciallo, batté in ritirata.
Camillo  era conosciutissimo in Offida e nei paesi limitrofi non solo perché custode del cimitero, ma dicono, perché fosse bravo nella coltivazione e cura di fiori e piante da giardino, sua grande passione.
La sua pianta preferita: – la rosa. Il suo fiore preferito:- la rosa.
Ne aveva piantate moltissime nel cimitero, alcune ci sono ancora, vecchie e malcurate, ma ci sono.
Era una persona allegra, sempre disponibile con tutti, le persone si intrattenevano volentieri con lui per quattro chiacchiere o una battuta, era amico di tutti. Mi teneva per mano quando eravamo per le vie di
Offida per qualche commissione; mi infastidivo quando si fermava continuamente a parlare con chi incontrava, gli strattonavo il braccio e lui rideva, aveva un minuto per tutti. La sua casa, sempre piena di gente, chi aiutava nonna Santina in casa, chi aiutava nonno per i lavori floreali, chi giungeva per prendere fiori. Un tran-tran continuo di persone che andavano e venivano; quando ero da loro, per me era una festa e a sera mi dispiaceva andarmene. Lì, facevo quel che volevo. Un giorno giocavo con la campanella della chiesa, scampanellavo, mi piaceva, era mia. La nascosi sotto una siepe di ruta e me ne andai. Mio padre una sera, tornato dal lavoro, chiese: – Ugo dove hai messo la campanella della chiesa? Domenica scorsa serviva al prete durante la celebrazione della messa, ma non l’ha trovata al suo posto. Tu, l’altro giorno ci giocavi, vero!!! Dove l’hai messa? Dopo un lungo e imbarazzato silenzio, risposi:
– Non lo so.
Non lo facevo di proposito, avevo solo dimenticato dove l’avevo nascosta. La storia continuò per qualche tempo, poi non se ne parlò più. Il prete evidentemente per celebrare la messa ne aveva una nuova. Alla prima occasione  aprii la porta laterale della chiesa, scostai la pesante tenda rosso bordeaux, entrai in chiesa andai a controllare. Era lì, nuova e lucidissima ma non la presi.
Dopo qualche mese, passando davanti alla folta siepe di ruta, guardandola per caso………la lampadina si accese e ricordai. Rovistai nella siepe…. la campanella di ottone, si era ossidata era divenuta scura ….. ma suonava ancora bene. Scampanellando e gridando “l’ho ritrovata, l’ho ritrovata” la riportai al nonno, che disse: – <<ora ci puoi giocare quanto e quando vuoi, ma non ti fare prete. Il prete adesso ne ha un’altra>>.
Per arrivare in cucina, si salivano due rampe di scale, sul piano, in uno stanzino di passaggio vi era una scrivania sistemata in un incasso del muro, su di essa, penna e calamaio, un tampone per l’inchiostro, quaderni con la copertina nera e i bordi rossi e una serie di grandi registri rilegati di color nero; vedevo che nonno Camillo vi scriveva in bella grafia in numerose caselle rosse, vi erano scritti numeri e parole.
Ero ignaro, non capivo né mi chiedevo a cosa servissero, quindi osservavo il nonno intento a scrivere, passavo, ed entravo in cucina. Dopo alcuni anni ho realizzato la finalità di quei registri.
Erano registri di “sola entrata”.
Un’atmosfera bella in quella semplice cucina, un ambiente piacevole, rassicurante con il camino grande sempre acceso, il paiolo sulla fiamma, odori di cucina che ancora ricordo….. poi, non mancava mai il sorriso sul viso sereno e bonario di nonna Santina. Carattere dolce, taciturna, riflessiva, mite, sempre affaccendata in cucina e a sbrigare le faccende di casa.
Nel tardo pomeriggio di quel giorno Camillo era ancora nella caserma dei carabinieri e ribadiva con forza di non proteggere nessuno, l’interrogatorio durò per ore, fu intimidito e minacciato, dato che la “soffiata” era stata precisa e dettagliata (successivamente si seppe chi fu l’ignobile spia), lo avrebbero arrestato e consegnato ai nazisti, con tutte le conseguenze che questo avrebbe comportato.
D’un tratto, s’aprì la porta e lo zelante maresciallo fu chiamato fuori dalla stanza e l’interrogatorio si interruppe. Trascorsi alcuni minuti,  rientrò in stanza  e comunicò a Camillo che poteva tornare a casa.
Era intervenuta a suo favore la Signora Maria Brandimarte, segretario della locale sezione del fascio femminile, la quale garantì personalmente, sulla serietà di Camillo.
Camillo non si interessava di politica, ne era sempre stato estraneo e non ne capiva le dinamiche.
In un improbabile paragone calcistico, non era ne giocatore, ne tifoso, ne spettatore amante del bel gioco. Se avesse dovuto scegliere fra uno sport di squadra e uno individuale, avrebbe scelto quello individuale, ma non per prevalere sull’avversario, quanto per provare le sue capacità e conoscere i propri limiti.
Eppure, pur non sapendolo, Camillo faceva politica, e come; sapeva discernere tra ciò che era giusto da quello che non lo era. Non era ipocrita per rispettare se stesso, non avrebbe sopportato guardarsi allo specchio e vedere due volti diversi. Era se stesso, sempre e sempre pronto a pagarne il costo. In questo modo dava l’esempio e tutti ne percepivano e apprezzavano la sincerità e l’autentica integrità morale.
Così quella Signora fascista, sui generis, lo aiutò. Conosceva la famiglia Brandimarte, come ne conosceva tante altre, di cui curava le tombe di famiglia e quando richiesto, anche l’assetto del giardino delle loro dimore, se non degli innesti degli alberi da frutto nelle campagne di proprietà di queste.
In famiglia si raccontava, che oltre la passione per le rose nelle sue innumerevoli varietà, fosse un esperto negli innesti, unica cosa di cui era gelosissimo. Pare che quando praticava gli innesti, non volesse nessuno nelle vicinanze.
L’arte del giardinaggio l’aveva appresa a Roma, città nella quale si era recato subito dopo essere tornato
a casa alla fine del primo conflitto mondiale e dopo aver subito quasi due anni di prigionia in Germania.
A Roma rimase per qualche anno, lavorando presso una buona ditta, come giardiniere. Ebbe una
esperienza formativa ottima e di qualità, lavorando nei giardini più belli di Roma, sia pubblici che privati e pare anche nei giardini del Vaticano.
Beniamino restò nel suo nascondiglio fino all’arrivo in Offida delle truppe anglo americane.
Dopo poco tempo, la famiglia Ventura tornò a Torino e successivamente si trasferì definitivamente a Gerusalemme, in Israele.
Per molti anni di loro non si ebbero notizie, ma i Ventura non dimenticarono quanto accaduto e delle famiglie che tesero loro la mano, in quel tragico frangente familiare e storico del 1944.
Testimoniarono infatti la loro vicenda presso la Corte Suprema di Israele, massima istituzione di quello Stato (fondata nel 1963), che aveva e ha, il preciso compito di riconoscere a cittadini non ebrei, una  onorificenza, a chi avesse salvato, con eroismo e a rischio della propria vita, anche un solo ebreo dal genocidio nazista, conosciuto come Shoah.
In una cerimonia solenne a Gerusalemme -ma può svolgersi anche in altri Stati-, viene conferita alla persona, uno speciale Certificato d’Onore e una medaglia con  inciso il nome e ufficialmente riconosciuta
“Giusto tra le Nazioni”
Il “Giusto” ha inoltre il privilegio di vedere aggiunto il proprio nome nel “Giardino dei Giusti” realizzato su di un colle presso il museo Yad Yashem di Gerusalemme. Su questo colle viene piantato un albero con il nome del “Giusto”, che nella tradizione ebraica è sinonimo di ricordo eterno.
Nel 1979 una delegazione ufficiale dell’Ambasciata di Israele a Roma venne in Offida e consegnò agli eredi della famiglia di Talamonti Camillo e agli eredi della famiglia di Talamonti Adelino le medaglie con i nomi e i certificati di “Giusto tra le Nazioni”.
I Giusti Italiani riconosciuti dalla Corte Suprema Israeliana sono 525.
I Giusti riconosciuti in tutto il mondo sono circa 24.000.
Ironia della sorte, la Signora Maria Brandimarte, dopo la guerra andò via da Offida e trasferitasi a Milano, sposò in seconde nozze  un importatore e commerciante di pellami da pelliccia. Ebreo polacco.
Vissero felici insieme per tanti anni.
Con la Signora Brandimarte, mia madre Maria, ex  titolare con zia Anna (moglie di Nando) di un negozio – guarda caso – di  fiorista, ha intrattenuto per tantissimi anni un dialogo telefonico intenso, fino a pochi giorni prima della sua scomparsa.
Dalla morte di nonno Camillo avvenuta nel lontano 1963, lei volle che fossimo noi a continuare ad occuparci della tomba della sua famiglia; telefonava e ordinava i fiori che preferiva.
Voleva fossero cambiati con regolarità non appena quelli precedenti fossero avvizziti. Poi rimaneva  al telefono, a volte per ore; è capitato che trovandomi in casa nella stessa stanza dov’era mia madre sentissi la loro conversazione. Era curiosa, voleva sapere tutto delle persone, delle famiglie e di quello che accadeva ad Offida. Curioso anch’io, la mettevo in vivavoce; con mamma parlava in dialetto stretto usando spesso vocaboli ormai desueti. Diceva che parlava dalla camera da letto e mentre parlava guardava una foto grande della piazza di Offida posta sul comò. Era istruita, semplice e simpatica, sicura e diretta, ma nel contempo acuta e sensibile nelle riflessioni.
Pesavo allora, che se fosse vissuta nella mia generazione, sicuramente la sua personalità si sarebbe distinta nel sociale, forse per sostenere i diritti delle donne, forse impegnata nel mondo sindacale.
Anche Lei una bella persona e sicuramente “Giusta”. Riposa a Offida, vicino al marito e ai suoi cari. 
Offida il                                                                                                                      Ugo Talamonti

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